Foto: Martegani
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La privatizzazione dele Poste Italiane rischia di costare molto cara, sia in termini di occupazione sia di servizi al Paese. Ne sono convinti i sindacati di categoria Cgil, Cisl e Uil e Cisal che, mentre è in discussione nelle commissioni parlamentari il progetto che prevede la cessione sul mercato delle quote in mano Ministero delle Finanze, pari al 29,7 per cento, hanno organizzato una serie di manifestazioni e presidi in tutte le regioni italiane.
A Trieste la manifestazione si è svolta questa mattina di fronte alla Prefettura, dove c’è stato anche un incontro fra i rappresenti dei sindacati e del commissario di governo.
Attualmente il 35 per cento delle azioni di Poste Italiane, che è la più grande azienda del paese con i suoi 120 mila dipendenti e una rete capillare di filiali diffuse sulla penisola, è già in mano ad azionisti privati, e con la nuova operazione rimarrebbe in mano pubblica sono il 35 per cento controllato da Cassa depositi e prestiti.

Foto: Martegani
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Un’operazione che ha incontrato la netta contrarietà dei sindacati che, accanto al rischio di una riduzione del personale (si parla di qualcosa come 50 mila posto in meno), ricorda come la logica di mercato potrebbe portare alla chiusura di molte sedi periferiche, economicamente non convenienti, ma che svolgono una funzione fondamentale per i cittadini dei piccoli centri, soprattutto in campagna e montagna, e sono un punto di riferimento per la popolazione.
In Friuli Venezia Giulia lavorano per le poste 3000 persone e si teme che la metà dei posti, e molte filiali periferiche, possano essere a rischio. “Il percorso di mobilitazione, che è un percorso unitario che viene attuato in tutta Italia – spiega Gianfranco Parziale, Segretario regionale SLP - è fatto per scongiurare l'ipotesi paventata dal governo di voler privatizzare un’ulteriore quota di Poste Italiane, facendo sì che il controllo dell'azienda passi da un controllo pubblico, come è attualmente, a un controllo prettamente privato”.

Foto: Martegani
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Questa cosa – aggiunge - ovviamente ci preoccupa molto perché a rischio è la mission storica della nostra azienda, la funzione sociale, il presidio sul territorio e l'erogazione di servizi di pubblica utilità, come ad esempio il servizio di recapito che storicamente la nostra azienda svolge in tutte le comunità, e poi ovviamente la naturale conseguenza e la naturale ricaduta sull'occupazione a livello nazionale, ma anche nella nostra regione, che è fatta di tanti comuni rurali. Probabilmente un investitore poco si interesserebbe di garantire in quel territorio il presidio di un ufficio postale che diventa diseconomico, poco si interesserebbe di garantire l'erogazione e la consegna della corrispondenza ordinaria, che sicuramente è fortemente diseconomica e che viene compensata attualmente da altri da altri servizi.
Noi – conclude - vogliamo che l'azienda rimanga quella che è, un'azienda che si è trasformata da un carrozzone pubblico a un'azienda floridissima dal punto di vista economico, anche e soprattutto con il sacrificio dei lavoratori che hanno accompagnato il cambiamento dell'azienda Poste Italiane”.

Alessandro Martegani