Si guardava con apprensione a quanto stava accadendo in Italia e alla prima decina di casi registrati in Croazia consapevoli che la penisola non sarebbe rimasta fuori da quella che in altre parti del mondo veniva già definita pandemia l'8 marzo di un anno fa. Il primo caso istriano - un giovane albonese rientrato dal lavoro dal Veneto - è stato quindi solo il preludio di un periodo che nessuno avrebbe potuto neanche immaginare. In questi 12 mesi l'Istria ha registrato più di 6 mila 200 contagi sui 247 mila a livello nazionale e 83 morti sui quasi 5 mila 600 segnalati in Croazia. La penisola purtroppo detiene il triste primato del primo decesso per coronavirus avvenuto nel paese con la prematura scomparsa di Nino Krnjus, noto ristoratore di Verteneglio, avvenuta il 25 marzo di un anno fa. Nonostante le cifre serie e preoccupanti va detto che la Regione ha saputo finora arginare il propagarsi dell'infezione meglio delle altre aree croate ed europee. Lo ha potuto fare grazie al lavoro dell'unità di crisi locale che non si è risparmiata a introdurre provvedimenti impopolari prima degli altri e qui ricordiamo - nella prima ondata - la chiusura delle scuole, delle attività delle associazioni, la sospensione di tutte le manifestazioni, la limitazioni nella circolazione, il regime di isolamento per i frontalieri. Regione che nonostante le difficoltà è riuscita a portare avanti qualche settimana di stagione turistica e a mantenersi, a novembre, unica area verde in Europa. Poi la seconda ondata ha colpito più duramente della prima, ma ancor sempre meno che nelle altre parti e questo forse anche grazie al carattere degli istriani che, per storia, cultura e tradizioni, sono più ligi al dovere e rispettosi delle regole.
Lionella Pausin Acquavita

Foto: Deutsche Welle
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