Foto:
Foto:

Due le delibere approvate nell'ultimo Consiglio Comunale di Trieste che hanno fatto molto discutere. Una sulla dotazione di armamenti per la polizia locale, l'altra sul Regolamento delle scuole di infanzia, entrambe approvate con i voti della maggioranza. Ad apporsi il Partito Democratico ed il Movimento 5 Stelle.

"Nessuna apertura, nemmeno minima, da parte della maggioranza per accogliere nemmeno uno degli emendamenti", questo quanto dichiarato dalla capogruppo del Pd Fabiana Martini in chiusura dell'ultimo Consiglio comunale di Trieste.

Il voto sulle delibere si è tenuto nella notte tarda, con la maggioranza a trazione leghista che ha ottenuto i numeri sufficienti ad approvarle. Sono così passati così i due provvedimenti più discussi negli ultimi tempi: quello di porre un tetto del 30% alla presenza dei bambini stranieri nelle classi delle scuole di infanzia e quello per armare su base volontaria la polizia locale. Il sindaco Roberto Dipiazza ed il vicesindaco Paolo Polidori si sono allineati su entrambe le delibere, con quest'ultimo che ha ricordato che la questione degli armamenti era presente nel programma del centrodestra.

I sindacati, che in precedenza criticavano la richiesta di servizio 24 ore su 24 per la polizia locale, ora hanno fatto rientrare l'allarme ed hanno inoltre ottenuto l'emissione di un nuovo bando di concorso per aumentare il numero attuale di agenti.

Dura la presa di posizione dell'opposizione, secondo Paolo Menis dei 5 Stelle, "la gestione della sicurezza sul territorio si può ottenere in altri modi piuttosto che andare ad armare gli agenti della Polizia Locale". Laura Famulari del Partito Democratico ha dichiarato che "l'organico si sta riducendo, l'età media è sopra i 50 anni e ci sarà il problema del portare l'arma a casa: è davvero necessario che gli agenti debbano avere l'arma in servizio?" La stessa Famulari qualche giorno fa invece sulla questione del tetto dei bambini stranieri negli asili aveva precisato che "mettere un limite per la presenza di bambini stranieri non è un male assoluto, l'integrazione si fa ponendo un numero che dev'essere correlato alla realtà del territorio e ai numeri effettivi, collegato a una politica di integrazione. Inoltre non sono previsti insegnanti di supporto né mediatori culturali, provocando disagi a chi non c'entra".