Foto: AP
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Come Nerone ha avvolto Lubiana in una cortina di fumo, mentre lui se ne stava con i suoi ospiti al Castello di Brdo. Non misura le parole in aula il leader della Sinistra, Luka Mesec. L’accusa è che la decisione di usare la forza non sarebbe stata presa autonomamente dal comando della polizia, ma dai vertici politici che stazionavano quel giorno nella Centrale operativa da dove partivano gli ordini. Dito puntato contro il ministro dell’Interno, Aleš Hojs e il consigliere per la sicurezza nazionale Žan Mahnič, ma anche su altri fedelissimi del primo ministro. L’accusa era già rimbalzata sui media nei giorni scorsi. La tesi è che in questo ed anche in altri casi l’esecutivo starebbe agendo al di fuori del quadro giuridico; e proprio per questo Mesec non ha mancato di esprimere timori per quello che sarà il passaggio di consegne dopo le elezioni. L’invito a Janša è quello di andarsene e di farlo presto.

Sono qui grazie a voi, gli ha risposto a stretto giro Janša, che ha ricordato che se lui è arrivato ad occupare la poltrona di primo ministro lo deve anche alla Sinistra, che addirittura prima dell’ex premier Marjan Šarec, aveva gettato la spugna, staccando la spina al governo di centrosinistra. Per il primo ministro non c’è nessuna escalation di violenza in Slovenia, mentre i quaranta poliziotti feriti, contro solo alcuni manifestanti la direbbe lunga su chi è stato violento e chi no. Il problema non sarebbero, però, le proteste, ma il nuovo trend di diffusione del contagio che sarebbe il più alto in Europa. In ballo, quindi, non c’è il Green pass, ma nuove limitazioni e chiusure della vita pubblica e dell’economia. Proprio questa sarà per Janša la questione che sarà all'ordine del giorno il mese prossimo.

Stefano Lusa