Foto: Reuters
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"Infimi sciacalli": che il Movimento 5 stelle e Luigi d Maio avessero un rapporto difficile con la stampa non era un mistero, ma l'assoluzione di Virginia Raggi dall'accusa di falso in atto pubblico ha scatenato lo scontro fra il leader del Movimento 5 stelle e i giornalisti.
Commentando la vicenda che ha portato all'assoluzione della sindaca di Roma, il leader dei 5 Stelle ha affermato che "Il peggio in questa vicenda lo hanno dato la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti, ma che sono solo degli infimi sciacalli, - ha aggiunto - che ogni giorno per due anni, con le loro ridicole insinuazioni, hanno provato a convincere il Movimento a scaricare la Raggi".
Di Maio è andato anche oltre, definendo "La vera piaga di questo Paese la stragrande maggioranza dei media corrotti intellettualmente e moralmente", e annunciando "una legge sugli editori puri".
La reazione delle organizzazioni della Stampa italiana è giunta immediata: Carlo Verna, presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti, ha chiesto al ministro, che è iscritto all'Ordine dei giornalisti come pubblicista, di "valutare seriamente la possibilità di lasciare spontaneamente la nostra comunità, nella quale ha diritto di stare, ma in cui chi si comporta così non è assolutamente gradito".
Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, hanno visto nelle parole del vicepremier "la spia del malessere di chi vede vacillare un consenso elettorale costruito su annunci e promesse irrealizzabili". "Di Maio e chi, come lui fra i 5 Stelle, sogna un'informazione al guinzaglio - hanno aggiunto - deve farsene una ragione: non saranno le minacce e neppure gli insulti a impedire ai giornalisti di fare il loro lavoro".
Quello con i giornalisti non è però l'unico fronte polemico aperto dal vicepremier 5 Stelle: anche il sindaco du Milano, Giuseppe Sala, ha reagito duramente all'idea di Maio di imporre la chiusura domenicale dei negozi: "Le chiusure domenicali le facciano ad Avellino se vogliono - ha detto Sala, riferendosi alla città natale di Di Maio -, ma a Milano è contro il senso comune". "Pensassero alle grandi questioni politiche e non a rompere le palle a noi che abbiamo un modello che funziona e 9 milioni di turisti".
"Nessuno vuole chiudere nulla a Milano né da nessuna altra parte, ma chi lavora ha il diritto a non essere più sfruttato" ha replicato di Maio, definendo Sala un "Sindaco fighetto del Pd".
"Quando il ministro Di Maio avrà lavorato nella sua vita il 10 per cento di quanto ho fatto io, - ha però ribattuto a muso duro il sindaco di Milano - sarà più titolato a definirmi fighetto".