Foto: Reuters
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Prima furono le zone rosse limitate al Lodigiano ed a Vo’, rispettivamente in Lombardia ed in Veneto, i territori inizialmente più colpiti dal Covid. Successivamente ci furono altre aree della Lombardia e di quattordici province del Centro Nord.

Sì arrivò quindi al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, all’epoca Giuseppe Conte ed al “lockdown”, annunciato in diretta Tv l’11 marzo 2020, che lasciò attoniti gli italiani, impegnati, primi in Europa, nella lotta contro un virus per lo più sconosciuto, che stava mietendo le prime vittime.

Il premier spiego che iniziava la “chiusura”: non si poteva più uscire da casa senza autocertificazione, e lo si poteva fare solo per motivi di lavoro, di salute o per fare la spesa. Tutto il resto è chiuso: negozi, scuole, ristoranti, eventi pubblici di ogni tipo.

Da quel momento divennero un tragico appuntamento quotidiano i bollettini delle persone contagiate e di quelle decedute, mentre si guardava con speranza ai guariti. Impossibile dimenticare le città deserte e le strade silenziose, ma anche le persone che si ritrovavano a parlare e cantare sui balconi.

Ce la faremo” divenne la frase più gettonata di quel periodo, in cui gli italiani si ritrovarono uniti nell’affrontare una tragedia inaspettata di cui non si conosceva la possibile durata. Una decina di giorni dopo la serrata fu ancora più restrittiva: vennero chiuse anche le attività produttive non essenziali o strategiche. Aperti solo alimentari, farmacie, negozi di generi di prima necessità ed i servizi essenziali. Nessuno poteva spostarsi da un Comune all'altro se non per comprovate necessità.

Gli italiani trascorsero Pasqua e Pasquetta chiusi a casa, anche se ogni tanto qualcuno provava a fare il furbo uscendo senza un valido motivo, tanto che proprio nella giornata di Pasqua furono quasi 14mila le sanzioni elevate a chi non rispettò il Dpcm. Fu dopo il ponte del Primo Maggio che terminò il primo e vero lockdown, quando iniziò la cosiddetta “Fase 2”, con la riapertura della maggior parte delle attività produttive, anche se i negozi avrebbero dovuto attendere il 18 maggio.

Rimasero però il distanziamento sociale ed anche il divieto di assembramento, oltre che l’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi chiusi. In seguito, ci furono altri allentamenti e ci si illuse progressivamente di un rapido ritorno alla normalità, che poi in realtà non è ancora arrivato, nonostante i tanto attesi vaccini, che proprio in quella prima chiusura tutti sognavano per poter finalmente tornare alla vita pre-pandemia. Come ben sappiamo, non è andata proprio così…

Davide Fifaco