Foto: Reuters
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I diritti, purtroppo spesso non sono così inalienabili come ci viene detto. In molti casi la loro cancellazione parte in sordina, con piccoli passi che portano sul lungo alla loro abolizione. Un insegnamento che ci giunge non solo dai racconti distopici che tanto successo stanno avendo a livello sia letterario sia televisivo in questi anni, ma anche dalla realtà: basti pensare all’annullamento della sentenza “Roe versus Wade” da parte della Corte Suprema statunitense nel 2022 che, avendo lasciato autonomia agli stati in questa materia, sta rendendo impossibile o complicato ricorrere all’interruzione di gravidanza a molte donne americane.

Anche in Italia l’attuale governo sembra voler intraprendere un percorso di erosione di questo diritto e anche in questo caso l’azione viene portata avanti a livello locale e senza dare troppo nell’occhio. A denunciare uno di questi passi, ieri sono stati, però, i partiti di opposizione, che hanno reso pubblico il fatto che oggi in aula si voterà un emendamento al decreto Pnrr, su cui il governo ha messo la fiducia, che determina che le Regioni, nell'organizzare i servizi dei consultori, possano "avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità". E questi soggetti sarebbero men che meno che le associazione pro-vita, che giocherebbero sicuramente un ruolo dissuasivo nei confronti delle donne che si rivolgono ai consultori per trovare sostegno in una situazione di disagio. Un'ulteriore attacco al lavoro di questi centri che secondo gli operatori del settore, stanno cercando di parare i colpi ormai da tempo, visto che in sempre più regioni si sta agendo per ridurre la loro presenza sul territorio, rendendo di fatto più complicato alle donne accedere all'aborto visto che proprio qui viene fatto il maggior numero di certificazioni per l'interruzione volontaria di gravidanza.

D'altronde non bisogna andare molto lontano per vedere in atto questa strategia. Nella vicina Trieste è in corso, infatti, da alcuni mesi una battaglia contro la riduzione del numero di queste strutture presenti nei diversi rioni cittadini, che viene giustificata dall'amministrazione come una necessità di razionalizzazione dei costi; ma che nasconde probabilmente anche motivi ideologici visto che a livello locale a governare è il centro-destra, dove la componente di anti-abortisti ha sicuramente un peso non da poco. Inoltre, molte sono le strutture sanitarie regionali dove già da tempo difficilmente si può accedere a questo trattamento vista la presenza quasi totale dei cosiddetti ginecologi obiettori, e ciò crea una grande pressione sui pochi ospedali e sui pochi medici che operano l'interruzione di gravidanza.

Non resta, quindi, che attendere l'esito del voto e vedere se oggi anche l'Italia confermerà le paure del Parlamento europeo, che proprio per combattere l'involuzione che si sta registrando in molti paesi, ha votato la scorsa settimana una direttiva per inserire il diritto all'aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

Una certa capacità di visione deve, invece, essere riconosciuta ai legislatori sloveni che subito dopo l'indipendenza decisero di inserire l'aborto nella Costituzione; molto prima dei francesi, ma anche molto prima che iniziassero a spirare sull'Europa i venti del populismo e della restaurazione. Forse, qualcuno di loro, arrivando da un regime, aveva capito meglio di altri che nessun diritto è inalienabile e che perciò finchè ci sono è meglio blindarli, perchè come diceva il poeta parlando di temi più ameni, "del doman non v'è certezza".

Barbara Costamagna