L'iniziativa nata con lo scopo di intensificare gli sforzi per prevenire e risolvere i conflitti e contribuire alla pace e alla sicurezza dei rifugiati, lascia buona parte dell'opinione pubblica e molti governi, indifferenti.
L'indifferenza emerge prepotentemente anche dai dati contenuti nel rapporto annuale dell'Unhcr "Global Trends 2018", pubblicato alla vigilia della Giornata Mondiale del Rifugiato, che rileva: nel 2018 il numero di persone in fuga da guerre, persecuzioni e conflitti ha superato i 70 milioni. È il livello più alto registrato dall'Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, in quasi 70 anni di attività. Si tratta di 70 milioni di individui sfollati con la forza dalle loro case e non di migranti economici. Il rapporto li divide in tre gruppi principali: in rifugiati propriamente detti - 26 milioni in tutto il mondo, in richiedenti asilo, ma non necessariamente rifugiati - 3,5 milioni di persone e il terzo gruppo di 41,3 milioni costituito da persone "spostate" non all'estero ma all'interno dei confini del proprio paese. Uno sforzo che per le Nazioni Unite, si fa sempre più arduo dato che solo 2,9 milioni, di persone sono rientrate nel proprio paese. Per oltre i due terzi i rifugiati provengono da sette Paesi soltanto: Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Uganda, Etiopia, Kenya e Repubblica democratica del Congo.

Il dramma di queste persone è sotto gli occhi di tutti. Come lo sono i barconi che affondano con centinaia di persone a bordo nel Mediterraneo, il loro abbandono in mano alle organizzazioni criminali, i dibattiti su come, dove e chi colpire per impedire l'arrivo di uomini e donne che cercano rifugio o una vita dignitosa in Europa, ed ancora i reticolati con il filo spinato tra i Paesi dei Balcani occidentali. Questa drammatica situazione ha responsabilità precise: le scelte politiche e le leggi dei governi europei che non consentono nessuna via d'accesso sicura e legale nel territorio dell'UE e costruiscono di fatto quelle barriere che provocano centinaia di morti nel Mediterraneo, nel Sahara, nei paesi di transito nei Balcani, e nella sacca senza uscita che si è creata in Libia.

Corrado Cimador

Foto: EPA
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