Foto: AP
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La premier islandese, l'eco-progressista Katrin Jakobsdottir, ha detto che nel Paese non sono stati raggiunti gli obiettivi di piena uguaglianza di genere. Una cosa "inaccettabile nel 2023", ha sottolineato, nonostante sia proprio questa la priorità del suo governo. Il primo ministro ha poi segnalato che in Islanda le differenze di salario fra uomini e donne stanno addirittura aumentando. Jakobsdottir ha comunque assicurato che i suoi ministri stanno esaminando il modo in cui vengono valutate le professioni dominate dalle donne, rispetto a quelle dominate tradizionalmente dagli uomini.
Secondo i dati ufficiali per il 2022, l'Islanda rimane comunque il primo Paese al mondo in materia di uguaglianza di genere: negli ultimi 3 anni, infatti, il gap salariale e sociale è stato ridotto del 90%. L'obiettivo dello sciopero delle donne è pure quello di ricordare che anche nel Paese più evoluto e progressista non bisogna dare i diritti mai per scontati.
Le organizzatrici dell'agitazione hanno chiesto che vengano resi pubblici gli stipendi di tutti i settori, in particolare quelli in cui sono impiegate le donne. Nello sciopero sono stati inclusi pure i lavori in casa: le donne si aspettano che "mariti, padri, fratelli e zii si assumano le responsabilità legate alla famiglia e alla casa".
Lo slogan della protesta "Questa la chiamate uguaglianza?" punta il dito contro la rivendicazione di un diritto che non è davvero tale e chiede inoltre che "la violenza di genere venga eliminata e che il contributo delle donne e delle persone non binarie sia riconosciuto e premiato". A prendere parte all'agitazione in tutto 35 sigle tra sindacati, reti femministe e associazioni LGBTIQA+.
Ricordiamo ancora che l'ultima protesta simile risale al 1975, quando le lavoratrici e le casalinghe bloccarono i servizi del Paese per un intero giorno. All'epoca fu l'80% delle donne ad aderire all'iniziativa, con l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza del lavoro femminile per la società e l'economia.