Robert Golob in Marta Kos. Foto: BoBo
Robert Golob in Marta Kos. Foto: BoBo

"Questo non è più il mio partito, ho deciso di non farne più parte". Dopo le dimissioni della ministra Tatjana Bobnar formalizzate al parlamento, Marta Kos ha affidato a un comunicato la scelta di uscire da Movimento Libertà, il partito di maggioranza che aveva contribuito a fondare e della quale in primavera era anche la candidata in pectore per diventare la prima donna presidente del paese. Ma se, come recita l'adagio, una settimana è un periodo lungo in politica, e quella appena trascorsa lo dimostra in pieno, figuriamoci 6 mesi, durante i quali sembra essere successo di tutto nel panorama politico sloveno.
Kos ha rinunciato anche a un seggio parlamentare per correre da "indipendente" alle elezioni presidenziali di novembre, ma sondaggi piuttosto scadenti e una distribuzione del potere abbastanza complessa fin dalle prime battute hanno convinto l'ex giornalista ed ex ambasciatrice a fare un passo indietro dalle cariche di vertice all'interno del partito, dove era vice-presidente. E proprio quelle circostanze che l'hanno portata a diventare soldato semplice nel Movimento sono le stesse che, secondo lei, stanno minando la stabilità dell'esecutivo. "Ho sempre rappresentato i principi democratici, la professionalità, i valori di non corruzione, uguaglianza e diritti umani. Posso dire lo stesso per Tatjana Bobnar", ha spiegato Kos, che con questa mossa ha voluto esprimere il suo sostegno alla ex ministra.
Fredda la reazione di Movimento Libertà. In un telegrafico comunicato stampa hanno fatto sapere di non voler commentare decisioni personali di singoli iscritti che, stando al partito, "aumentano di giorno in giorno grazie all'adempimento delle promesse pre-elettorali e all'impegno nei confronti dei nostri valori", hanno aggiunto. Caustico invece il giudizio dell'ex premier Janez Janša. Come scrive sul suo profilo Twitter, le dimissioni di Bobnar sono un tentativo di difendere il clan dei Kos, influente nel cosidetto "stato profondo", piuttosto che una accorata difesa della democrazia.

Valerio Fabbri