Foto: Reuters
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I mari italiani si stanno riscaldando anche in profondità. È il dato più preoccupante che emerge dalle rilevazioni eseguite nell’ambito della campagna di Greenpeace “Mare Caldo”, chiusa in settimana a Trieste dove è approdata la nave da ricerca Rainbow Warrior.
Il capoluogo giuliano è stata l’ultima tappa della crociera della nave da ricerca, che si è fermata nelle scorse settimane in dieci aree protette, tra cui Miramare, effettuando oltre 535 mila misurazioni della temperatura delle acque marine.
I raffronti con gli anni precedenti (il progetto era stato avviato nel 2019), rivelano ondate di calore anomale, che hanno colpito soprattutto le aree marine dell’Italia meridionale e centrale fino a 40 metri di profondità. Un’anomala e repentina “ondata di calore” era stata registrata a esempio nel giugno 2020 all’Isola d’Elba e a Portofino, con temperature che in pochi giorni e per un periodo di tre settimane erano salite di circa 1,5 gradi rispetto al valore medio mensile.
Proprio a Miramare sarebbe stata trovata una relazione fra una moria di spugne nere e un’ondata di calore, e anche il golfo di Trieste e la laguna di Grado rivelano le conseguenze degli aumenti di temperatura, con la moria delle nacchere di mare, e la proliferazione estiva di noci di mare e meduse del tipo Rhizostoma Pulmo. Accanto a esperti locali è stata effettuata un’immersione anche sulle Trezze al largo di Grado, per valutare gli effetti dei cambiamenti climatici su specie sensibili come la madrepora a cuscino e Pinna nobilis.
In questo quadro assume ancor più importanza il ruolo delle aree protette, che fungono da ammortizzatori per gli impatti dei cambiamenti climatici che stanno facendo aumentare l’acidità degli oceani, il livello dei mari, oltre a favorire tempeste sempre più violente e migrazioni delle specie animali. L’aumento delle temperature porta anche alla scomparsa di alcune specie, che vengono sostituite da varietà aliene e tropicali.

Alessandro Martegani