Foto: Reuters
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“Se ce ne fosse bisogno, è emersa ancora una volta, e con ulteriore chiarezza, che le autorità egiziane si fanno beffe del sistema di diritto italiano”.
Così Il Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio, il ricercatore italiano sequestrato, torturato e ucciso al Cairo nel 2016, hanno commentato le dichiarazioni di Nicola Russo, capo dipartimento di affari giustizia italiano, che nel corso del processo contro i quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati dell’omicidio, ha confermato che il governo di Roma non ha “mai ricevuto alcuna risposta dall’autorità egiziana in merito ai quattro imputati”, e non ha nemmeno dato seguito “alla richiesta di incontro che la ministra Marta Cartabia aveva inviato nel gennaio scorso".
Lo scorso 13 al 15 marzo funzionari del ministero della giustizia erano andati in missione al Cairo per sollecitare le autorità egiziane ed acquisire informazioni sugli imputati, ma la Procura generale egiziana aveva ribadito l’archiviazione per i quattro agenti, perché già sottoposti a procedimento in Egitto.
Il Ministero della giustizia italiano avrebbe anche deciso di non appellarsi al trattato internazionale sulla tortura del 1984, a cui ha aderito anche l'Egitto.
Il giudice ha sospeso il procedimento e ha disposto nuove ricerche degli imputati egiziani da parte dei carabinieri, ma la possibilità che i responsabili dell’assassinio del giovane ricercatore vengano giudicati in Italia si fa sempre più remota. Il rifiuto del governo del Cairo d’incontrare la ministra della Giustizia, Cartabia, ha detto la famiglia Regeni dopo l’udienza, “non ha precedenti” e “anche alla luce di quanto dichiarato dal funzionario del Ministero della Giustizia auspichiamo un’adeguata reazione di dignità del governo italiano”.

Alessandro Martegani