Foto: Reuters
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Un anno è ben poca cosa rispetto ai 70 in cui la madre Elisabetta ha retto le sorti della Corona britannica, ma si è trattato comunque di 365 giorni intensi per Carlo III, figlio di Elisabetta salito al trono dopo la scomparsa della madre, avvenuta l’8 settembre di un anno fa.
Tutti parlavano, e parlano ancora, di un re di transizione, in attesa dell’arrivo del figlio primogenito William, ma in questo anno Carlo non ha mancato di farsi apprezzare, nonostante gli scandali di corte che hanno contraddistinto la sua vita da principe, e anche da Re, e l’amore del paese e del mondo intero per Elisabetta che ne aveva senpre oscurato l’immagine.

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Noto per la sue posizioni su temi come l'ambiente, l'agricoltura biologica o l'educazione, una volta salito al Trono Carlo si è attenuto strettamente al cerimoniale, senza alcuna iniziativa personale, ma si è anche rivelato cordiale e affabile con i cittadini, dimostrando di volersi porre, come aveva detto il giorno dell’incoronazione, al servizio del suo popolo. Anche l'anniversario del primo anno di regno non è stato segnato da eventi particolari: Carlo e Camilla sono rimasti nel castello di Balmoral, in Scozia, dove trascorse gli ultimi giorni Elisabetta II.
Un’impostazione che sembra esser stata apprezzata dal paese: secondo un sondaggio del sito "Yougov", il 55 per cento dei britannici ha una buona opinione di Carlo, erano solo il 44 per cento un anno fa.

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Nonostante questo, continuano le manifestazioni del movimento antimonarchico che ha ripreso forza dopo la morte di Elisabetta II, e che non manca di manifestare con cartelli e striscioni a ogni uscita pubblica del sovrano, che in un anno ha fatto un solo viaggio ufficiale all’estero, in Germania, ma che dovrebbe andare in Africa a breve. Carlo, rispetto alla madre che era apparsa più concentrata sul Commonwealth, sembra anche aver inaugurato una visione più ampia e globale, ricevendo in questo anno molti leader stranieri, fra i quali il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa e quello ucraino Volodymyr Zelensky.

Alessandro Martegani