E pensare che quel grande libro, che racconta ai lettori di tutto il mondo l'inferno dei campi di sterminio, Primo Levi, nato a Torino nel luglio di cent'anni fa,
faticò molto a pubblicarlo. Vari editori importanti lo rifiutarono, tra cui Einaudi. E così la prima edizione di "Se questo è un uomo" uscì nel 1947 per i tipi della piccola casa editrice De Silva, che accettò di pubblicare il manoscritto, inizialmente intitolato "I sommersi e i salvati". Duemila e 500 copie, una tiratura oggi estremamente rara, a cui il Centro internazionale di studi Primo Levi di Torino ha dedicato nei mesi scorsi una mostra, con esemplari rintracciati nelle biblioteche italiane o appartenuti a scrittori famosi.
Come la copia del poeta triestino Umberto Saba, che a Levi mandò una lettera, in cui definiva l'opera "più che un bel libro". "È un libro fatale. Qualcuno doveva ben scriverlo", osservava Saba. Mostra, quella sul libro "primogenito" (come Levi lo chiamava), che ha fatto da prologo alle celebrazioni per il centenario dello scrittore torinese, un lungo calendario di iniziative previste in Italia e all'estero per tutto il 2019. Un anno per scoprire e raccontare le diverse dimensioni di Primo Levi, testimone della Shoah, uomo di cultura e di scienza, attraverso letture, spettacoli, incontri e approfondimenti. A segnarne l'inizio vero e proprio, in questi giorni, l'appuntamento con l'attore Fabrizio Gifuni a Fossoli, il campo di transito dal quale lo scrittore venne deportato ad Auschwitz 75 anni fa. Ad aprile "Se questo è un uomo" rivivrà in una nuova versione teatrale coprodotta dallo Stabile di Torino. Mentre lunedì 25 febbraio all'Università di Padova parte un'iniziativa in tre giornate dedicata al "Sistema periodico", la raccolta di racconti che Levi ha scritto sul proprio mestiere di chimico. Un mestiere, diceva, che è "una versione più strenua del mestiere di vivere".

Ornella Rossetto

Foto: MMC RTV SLO
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