Foto: BoBo
Foto: BoBo

E’ una legge che non porta alcuna soluzione all’ambiente, ma introduce misure discriminatorie per aziende di successo che hanno a cura il territorio dove operano. L’hanno messa in questi termini i manifestanti che si sono dati appuntamento ieri davanti al municipio cittadino, per chiedere a Lubiana un dialogo che finora, secondo loro, non c’è stato. Di proprietà del gruppo austriaco Wietersdorfer e partecipata al 25% dall’italiana Buzzi, da oltre 100 anni Salonit produce materiali poco più di due anni fa anni scorsi i vertici della società si erano impegnati a promuovere la valle dell’idrogeno dell’Alto Adriatico, che coinvolge Italia, Slovenia e Croazia, e in quest’ottica nella sede del cementificio era stata inaugurata la prima stazione di rifornimento a idrogeno, da mettere a sistema grazie alle sinergie della valle transnazionale. Ma ora sembra essere tutto a rischio, al punto che la stessa amministrazione di Salonit Anhovo ieri ha organizzato una manifestazione durante l’orario di lavoro, per chiedere alla politica locale di intervenire su quella nazionale ed evitare che richieste ritenute irrealizzabili, come quella di mettere sullo stesso piano le emissioni da incenerimento e co-incenerimento dei rifiuti, mettano in crisi l’esistenza stessa dell’azienda, che è disponibile a inasprire gli standard ambientali, ma entro limiti realizzabili. Secondo il sindacato e il consiglio dei lavoratori, gli effetti negativi della legge sarebbero devastanti, e mettono in evidenza anche il fatto che la proposta di legge in esame oggi è in conflitto con la legislazione europea. La società è andata oltre, affermando che sarebbe a rischio anche la sovranità del paese nel campo della fornitura di materiali da costruzione per progetti infrastrutturali strategici. Sull’altro fronte c’è l'Associazione che riunisce le persone vittime dell’amianto, che rincara la dose di accuse, nonostante le rassicurazioni di Salonit sul rispetto dei massimi standard ambientali. Quello che finora era “solo” un problema ambientale rischia di trasformarsi in problema sociale, economico e territoriale.

Valerio Fabbri